“Sono stata in terapia per 5 anni ma non è cambiato niente” oppure “Pensa che un giorno il mio terapeuta mi ha detto che…e da quella volta non sono più tornato” o, ancora, “Credevo mi aiutasse ma a me sembra di stare come prima”, ecc. Queste sono alcune delle frasi che nella mia pratica professionale, ma anche nella vita di tutti i giorni, mi è capitato più volte di sentire. Raccontano la percezione di un’esperienza terapeutica fallimentare o, comunque sia, inferiore alle aspettative.
Diciamo subito le cose come stanno: è vero, una psicoterapia può anche non funzionare. Eppure, invece di arrovellarsi alla ricerca di (presunti) colpevoli e innocenti (a meno di gravi situazioni nelle quali, ad esempio, è in gioco la responsabilità civile, deontologica o addirittura penale dello psicologo), è bene interrogarsi su quali siano quei fattori che aumentano le probabilità di riuscita. Esiste infatti la responsabilità dello psicologo, e la sua possibilità di errore, ma c’è naturalmente anche quella del paziente (che è agente attivo e non fruitore passivo di un percorso di cura) e molte altre variabili, interne o esterne al processo terapeutico, capaci di giocare a loro volta un ruolo preponderante.
Senza pretesa di esaustività ho indicato allora tre aspetti da tenere sempre a mente onde ridurre i rischi di un fallimento annunciato.
1) L’inizio del percorso. Chiamare per la prima volta uno psicoterapeuta per farsi aiutare non è cosa da poco. Le motivazioni possono essere svariate. Occorre dire infatti che non tutti coloro che si presentano ad un primo appuntamento sono davvero pronti ad iniziare una psicoterapia.
Immaginiamo a titolo esemplificativo il caso di Paolo, un uomo di 30 anni spesso di umore triste e con una rabbia molto forte che talvolta fatica a gestire. Il suo malessere parte da molto lontano ma Paolo non sa spiegarsi il perché. Di solito si angustia un po’ ma spera che poi col tempo passi, come con un fastidioso malanno di stagione che deve fare il suo corso. A volte, si ripete Paolo, la pazienza è la migliore medicina. Eppure il grattacapo persiste. Piano piano il suo evitamento del problema lascia allora spazio ad una maggior disponibilità a interrogarsi: Paolo comincia a farsi qualche domanda in più e a cercare le prime risposte. Spesso, ma non sempre, tali risposte sono false rassicurazioni che servono solo a prolungare l’attesa e a ritardare ulteriormente il momento della “resa”. Paolo adotta anche i primi accorgimenti fai-da-te per provare a risolvere il problema, dopo aver ascoltato i preziosi consigli di un amico al quale ha deciso di raccontare tutto. Per un po’ di tempo sembra funzionare, eppure questi movimenti correttivi autonomi si rivelano ben presto insufficienti. Un giorno Paolo ha l’ennesima crisi di rabbia e pianto e dice finalmente…basta. Si fa coraggio e cerca su internet il numero di telefono di uno psicoterapeuta della sua zona: lo chiama e prenota un primo appuntamento.
Questo è un esempio di un processo dinamico che porta a formulare una richiesta di aiuto. I passaggi che ha fatto Paolo rappresentano il suo tempo di elaborazione necessario per maturare una domanda personale e autentica di psicoterapia. Se si fosse forzato (o se qualcun altro l’avesse fatto) ad iniziare prima, sarebbe stato molto probabilmente inutile.
Non tutti però arrivano ad un primo colloquio dopo il percorso interiore e i tentativi di risoluzione del problema, autonomi o per mezzo di sostegno non professionale, che ha tentato Paolo. Capire insieme al paziente se è davvero il momento giusto di iniziare una psicoterapia (come racconto anche in questo video) è allora fondamentale. Ecco perché il fallimento di molte terapie è già annunciato all’inizio: semplicemente perché, mancando alcuni requisiti fondamentali (motivazione, disponibilità ad un impegno costante, ecc.), non sussistono le premesse affinché sia realizzabile un cambiamento. La prima cosa da fare è allora darsi un periodo circoscritto di tempo per valutare se ci sono gli estremi per iniziare una psicoterapia…certamente non con la garanzia di successo ma, quanto meno, sotto i migliori auspici.
2) L’accordo sugli obiettivi. Se ci sono gli estremi per proseguire, inizia l’accordo terapeutico. Non sempre è possibile raggiungere il traguardo auspicato dal paziente, né tanto meno farlo in tempi brevi. L’accordo sugli obiettivi è un momento molto delicato perché deve infondere fiducia al paziente senza promettere risultati inattuabili. Dare valore alla condivisione degli obiettivi terapeutici contribuisce allora a ridurre il rischio che il paziente possa poi sentirsi deluso o avere la sensazione che le sue aspettative iniziali sono state disattese. “Ma come” - potrebbe dire Paolo - “è un anno che vengo da lei e ogni tanto mi capita ancora di sentirmi male?” “Ero sicuro avrei risolto completamente il problema!”.
3) La relazione terapeutica. Non sappiamo come starà Paolo in futuro e che cosa succederà nella sua vita. Anche le sue priorità, e dunque gli obiettivi di cura, potrebbero cambiare da un momento all’altro. Quello che tuttavia possiamo convenire è che una solida relazione terapeutica rappresenterà certamente per lui un prezioso sostegno nei saliscendi dell’esistenza. Talvolta, infatti, non si può evitare la tempesta ma affrontarla insieme al proprio terapeuta darà al paziente la sensazione che ciò che hanno costruito insieme ha valore…e resiste a qualsiasi fallimento.
Valutare attentamente una domanda iniziale di psicoterapia, accordarsi in modo chiaro e condiviso sugli obiettivi terapeutici e costruire nel tempo una buona relazione terapeutica sono alcuni degli aspetti che, se contemplati, riducono notevolmente i rischi di una terapia insoddisfacente o addirittura fallimentare. Naturalmente è innanzi tutto il terapeuta che si impegnerà a coltivare queste attenzioni. Ma anche il paziente, dal canto proprio, può fare la sua parte. All’inizio, ad esempio, è bene che si chieda: mi sento pronto per mettermi in gioco in un percorso di psicoterapia? Mi hanno convinto gli obiettivi terapeutici che insieme abbiamo concordato? Ci voglio provare? E poi, più avanti durante il percorso: mi trovo bene/mi fido del mio terapeuta? Sento che rappresenta e ancora potrà rappresentare per me un valido sostegno e una preziosa occasione di confronto?
Evitare con certezza i fallimenti, in psicoterapia come nella vita, significherebbe poter controllare tutto: un’eventualità non solo implausibile ma probabilmente nemmeno auspicabile. Eppure siamo comunque efficaci e determinanti. Insieme, paziente e terapeuta, possono costruire solide basi perché una psicoterapia rappresenti davvero quell’occasione di cambiamento auspicata.
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