In questo articolo ho provato a descrivere nel modo più semplice possibile la differenza tra psicologo, psicoterapeuta e psichiatra, con l’auspicio che possa aiutare i non addetti ai lavori a sbrogliare un po’ la matassa.
Fine della complessità? Macché. Avrete sicuramente sentito dire che in psicoterapia ci sono diversi approcci: psicoanalisti, cognitivo-comportamentisti, sistemici, gestaltisti, ecc. E poi, complessità nella complessità, esistono anche ulteriori sottocategorie: gli psicoanalisti fenomenologi, ad esempio, sono lontani anni luce dai lacaniani…i costruttivisti non la vedono come i comportamentisti, ecc. Queste differenze riguardano la teoria e la tecnica clinica e sono dunque molto radicate nel modo in cui il terapeuta pensa e lavora. Quando uno psicologo vuole formarsi alla psicoterapia si trova allora di fronte ad una miriade di Scuole e orientamenti che, nella loro diversità, hanno tutte lo stesso oggetto di studio e il medesimo fine: la comprensione dello sviluppo normale e patologico dell’individuo e la possibilità di intervenire in un’ottica di cura. Senza approfondire ulteriormente, è bene però segnalare che esistono Scuole non riconosciute dal MIUR che definisce i requisiti etici e formativi ai quali ogni Istituto deve attenersi. In questo caso il professionista formato NON è riconosciuto come psicoterapeuta e, quindi, non può esercitare la psicoterapia.

Dinnanzi alla succitata complessità, l’evidenza empirica ci dà per fortuna una notizia rassicurante: non esiste approccio che valga più degli altri. Anzi, è stato da più parti confermato che i cosiddetti “fattori aspecifici” (come ad esempio la qualità della relazione paziente-terapeuta) sono quelli più importanti per il successo di una psicoterapia. Potete quindi tranquillizzarvi e non perdere tempo ed energie a cercare di comprendere le differenze, epistemologiche e cliniche, tra i vari approcci (che sono molto complesse da afferrare anche per noi addetti ai lavori). Scegliete quindi la persona e, se il percorso procede bene e vi trovate a vostro agio con il suo modo di lavorare, non preoccupatevi di quale sia il suo modello. Dopo tutto anche la scelta dell’approccio da parte del futuro psicoterapeuta avviene in molti casi proprio così: affidandosi, cioè, spontaneamente a quel modo di pensare e di lavorare che si sente buono per sé. Eventualmente, se avete ad esempio un problema di dipendenza affettiva, potete scegliere un terapeuta che - dalle informazioni che potete recuperare direttamente o indirettamente - abbia comprovata esperienza in quel settore. Ma non mi preoccuperei troppo nemmeno di questo: la dipendenza affettiva, con buona probabilità, potrebbe essere una diagnosi che vi siete fatti voi, magari navigando qua e là in rete, ma non è detto che corrisponda poi a ciò che riscontrerà il professionista. Potreste quindi finire per escludere un collega con il quale magari vi trovereste bene. Perciò il mio consiglio rimane quello di affidarvi e di porre eventualmente questo dubbio in un primo colloquio: mi sono rivolto alla persona giusta? Sarà il professionista ad indicarvi il collega più adeguato se il problema che portate non rientra tra le aree di intervento sue e del modello al quale si è formato. Dovete sapere, infatti, che non esistono Scuole che abilitano a lavorare con un’utenza specifica e non con un’altra, con una patologia specifica e non con un’altra. Sebbene ci siano Istituti con un taglio formativo maggiormente indirizzato, ad esempio, all’infanzia oppure all’adolescenza, ogni psicoterapeuta abilitato può lavorare con chiunque - bambini, adolescenti, adulti, ecc. - e con qualsiasi patologia - depressione, ansia, disturbi di personalità, ecc. Se da una parte questa prospettiva di ampio respiro è un bene prezioso della nostra professione (non curiamo il disturbo, come sottosistema isolato, ma la persona nella sua totalità), è altresì innegabile che nessuno di noi può essere esperto in ogni ambito e con ogni utenza. Dare quindi un occhio al sito o ai canali di comunicazione e di promozione che il professionista utilizza e, soprattutto, affrontare con lui la questione in sede di colloquio è sempre la soluzione migliore.
Insomma, per concludere: qualora doveste aver bisogno di una psicoterapia, sappiate che ci sono tantissimi orientamenti teorici e clinici. Badate bene che persino due persone che si sono formate al medesimo approccio non lavoreranno mai allo stesso modo: il modello di riferimento si intreccia infatti con il nostro carattere, le nostre esperienze di vita e professionali e molte altre variabili che rendono il “tocco” di quel professionista unico e inimitabile. Il mio consiglio è allora quello di non vivere l’approccio teorico-clinico del vostro potenziale terapeuta come un aspetto da razionalizzare e padroneggiare con totale controllo prima di operare la scelta. Affidatevi invece alla persona, assaggiate il suo modo di lavorare, eventualmente – se vi interessa – “interrogatela” sul suo stile terapeutico e cercate di farvelo spiegare. Se vi trovate bene, è la persona giusta.
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