Ultimamente tra gli psicologi non si parla d’altro: il noto marchio di detergenti intimi Chilly ha lanciato una campagna pubblicitaria nella quale offre due sedute gratuite di psicoterapia online sulla piattaforma Unobravo, a fronte di una spesa minima di 10 euro. La categoria è insorta per la trovata consumistica, per l’accostamento sui generis, per la banalizzazione di una delicata prestazione sanitaria qual è appunto la psicoterapia.
Come solitamente faccio dinnanzi alle novità, non salto subito alle conclusioni. Lascio decantare, metto insieme testa e pancia e provo a capire che cosa ne viene fuori. Quando sento le campane suonare solo da una parte, poi, mi chiedo se davvero si stia trattando il problema nella sua totalità. Ebbene, credo proprio di no.
Partirei da uno stato d’animo personale. Non ho provato sdegno di fronte a questa pubblicità, che pure mai avrei fatto come professionista o come leader di un’azienda che opera nel settore della salute mentale (basta dare un occhio al mio sito web e ai miei canali social per accorgersi che il modo in cui intendo la promozione è ben altra cosa). Lo sdegno è invece un’emozione che mi suscitano altre trovate commerciali dinnanzi alle quali, però, non sento mai dalla Categoria la stessa critica feroce. Frasi come “Supera l’ansia in cinque sedute grazie a un metodo infallibile” sono per me molto più gravi: eppure, tanti colleghi si fanno ogni giorno pubblicità in questo modo. Come mai non ci rivoltiamo contro questo metodo falso e manipolatorio di fare pubblicità, contro questa “psicologia delle promesse non mantenute”? A voler essere sofisticati, poi, promettere di sconfiggere l’ansia in cinque sedute è, filosoficamente parlando, l’applicazione apriori di una categoria all’esperienza. Ma siccome l’ansia può avercela il giovane adulto alle prese col suo primo esame universitario o il paziente psicotico che teme il crollo del soffitto, applicare a monte una soluzione senza conoscere il problema a valle è un grave errore epistemologico.
Aggiungo un’altra suggestione, molto pragmatica, sulla quale non ho una risposta definitiva ma volentieri tengo aperta la domanda. Qual è il danno più grande che una pubblicità del genere può causare? Che un consumatore del detergente intimo Chilly approfitti dell’offerta e faccia due chiacchiere con un psicologo (che male non gli farebbero)? Sarebbe così grave? Certo, obietteranno i puristi, questo accostamento svilisce la psicoterapia ma d’altro canto se vogliamo diventare “popolari” dobbiamo accostarci all’acquisto di prodotti che lo sono altrettanto. Regalare due sedute di psicoterapia gratuite ai clienti del cinema Godard (un cinema dalla programmazione ricercata nella meravigliosa cornice della Fondazione Prada di Milano) non avrebbe lo stesso impatto banalizzante ma, probabilmente, nemmeno la stessa diffusione (il bidet è roba da tutti, o almeno si spera. Il cinema d’autore, decisamente per pochi).
Volendo però anche criticare o addirittura censurare tale pubblicità (lo faranno eventualmente gli organi competenti, che giustamente si stanno interrogando), devo però riscontrare che, nelle tante riflessioni che ho letto, l’affaire “Unobravo-Chilly” non viene mai collocato in una prospettiva più ampia. Partiamo da alcuni dati del CNOP: gli psicologi iscritti all’Ordine nel 2000 erano 35.163. Nel 2020, invece, 117.762. Tra un po’ ci troveremo in una società distopica dove gli psicologi saranno più dei non psicologi… Battuta a parte, il trend è davvero in aumento esponenziale e, ogni anno, migliaia di neo-colleghi (provenienti anche dalle non sempre impeccabili università online) vengono immessi in un mondo del lavoro nel quale la domanda di psicologia è certamente aumentata ma non al punto tale da poter accontentare ciascuno di loro.
Vivere in un mondo dove non ci sono risorse per tutti scatena, per forza di cose, una feroce lotta per la sopravvivenza. E’ inevitabile, insomma, che si crei competizione. Anche associarsi (il tanto decantato “fare rete”), in fin dei conti, non è altro che uno spostamento della competizione all’esterno: cooperiamo nell’ingroup ma per essere più forti a competere con chi non vi appartiene. E allora il mercato, nella sua impareggiabile capacità di creare sempre nuovi oggetti di consumo (o di abbinare quelli già esistenti), ci sguazza alla grande. D’altronde, provate a immaginare dieci uomini in una stanza ma con un solo panino al giorno non sufficiente a sfamarli tutti...che cosa succederebbe, secondo voi? Ah, se ci fosse ancora Zimbardo questi esperimenti li farebbe lui...
Insomma, se non mettiamo finalmente un freno al numero di psicologi questi faranno di tutto pur di lavorare e trovare clienti. Altro che due sedute gratuite di psicoterapia: tra un po’ ne offriranno dieci…sperando che l’undicesima, almeno, venga loro pagata. Nello sfondo dell’affaire “Unobravo-Chilly” c’è allora la società dei consumi e della competizione, che non si può certo combattere solo con gli ideali, difettando di pragmatismo. Ai giovani colleghi in cerca di occupazione starà più simpatico un Ordine censore, che da anni però fatica ad aumentare il nostro comparto nel SSN, o la piattaforma Unobravo che dà lavoro a 6000 colleghi (peraltro pagati più di uno psicologo del SSN)? Unobravo ha creato più posti di lavoro in ambito psicologico di qualsiasi altra azienda negli ultimi anni. Non solo: ha garantito supporto psicologico a tariffa calmierata a migliaia di persone colmando un gap che le istituzioni non riescono o non vogliono affrontare. Lungi da me tesserne le lodi, ho ben altri riferimenti e modelli di ispirazione, ma non posso esimermi dal riconoscere la portata epocale del cambiamento avviato. Adesso il passo successivo è dettare le regole del gioco, avendo un potere economico che li autorizza a fare la prima mossa e a vedere che cosa succede. Alla Categoria e a chi la rappresenta il difficile compito di trattare: senza vendere l’anima al diavolo ma nemmeno gridando allo scandalo di fronte a una professione (e a una società) inevitabilmente in trasformazione.
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